Storia del Comune

Fondata dai Normanni e salvata dalla Madonna di Gaetano Basile Per quel che riguarda la genesi di questo piccolo centro della provincia di Palermo più di cinquemila anime, che si moltiplicano in progressione esponenziale nella stagione estiva fino a ieri si sosteneva che occorresse risalire a Ruggero d'Altavilla e alla battaglia della piana di Campogrande (1068), nel corso della quale il Gran Conte sconfisse le armate musulmane dell'emiro Ayyub, Da qui il nome Altavilla per onorare il normanno e Militia (spedizione militare e, per traslato, valore guerresco), corrottosi poi in Milìcia e infine in Mìlicia. Un recente studio di tre altavillesi, i professori Gaetano e Salvatore Brancato e il dottor Vito Scammacca, ha corretto il tiro e deluso gli inguaribili romantici. Per quel che riguarda la famosa battaglia, descritta da Goffredo Malaterra, fu combattuta nel territorio di Misilmeri. Il nome della masseria Milichio Milicha, compare per la prima volta nel Repertorium Regni Pheudorum del 1398, come allodio dei Ventimiglia. Quanto alla derivazione onomastica, il territorio su cui insisteva la masseria confinava con quello di Solunto, in cui in età classica si venerava Zeus Meilichios, dolce come il fico, frutto che in Sicilia è, con solida logica contadina, strettamente di genere femminile: dducicomu 'na ficu. Il toponimo si riscontra in tutto il territorio di Altavilla: Fico Soprana era una fonte utilizzata come abbeveratoio e per irrigare; Cortile della Fico lo spiazzo antistante il fondaco; Ficazzana l'antico nome dell'attuale contrada Pozzillo. L'assonanza è evidente e, tutto sommato, appropriata: infatti dal 1400 al 1600 la masseria, di dolcezza in dolcezza, si "riconvertì" in cannameleto, ossia luogo di produzione dello zucchero di canna: a quanto pare con notevole successo. Grazie anche alla ricchezza d'acqua del territorio e alla posizione prossima a Palermo, centro del potere politico e economico. La fortuna, tuttavia, è un'amante infedele, infatti:... molti anni sono che si retrova¬no gravati di grossissimi debiti dovuti sopra lo stato e il contado della Milìcia... si legge nell'atto notarile del 1620, con cui Francesco Maria Beccadelli di Bologna, giurecolsulto, Capitano di giustizia, Maestro razionale, Vicario generale del Regno di Sicilia, ecc. ecc., acquistò il feudo, ormai fallimentare, dai legittimi possessori. L'anno successivo, dopo una strenua battaglia legale, il nobile ottenne la concessione del mero e misto imperio, ossia di esercitare la sua insindacabile volontà sul territorio, e la licentia populandì, ossia di colonizzarlo. E nel regio decreto viene anche imposto il nome da attribuire al novello centro abitato: Alta Villa, in riferimento al sito posto su una collina, a settanta metri d'altezza, da cui si domina il paesaggio da Capo Zafferano a Cefalù.

Il Santuario Ma gli Altavillesi non si perdono d'animo: sfatata una suggestiva convinzione, ne restano ben altre. La tradizione locale, infatti, è legata soprattutto all'epico ritrovamento del famoso quadro della Madonna della Milìcia. Guai a chi tentasse di screditare il miracoloso evento! Poiché costituisce la pietra miliare della religiosità popolare. Il Santuario, dedicato alla Madonna, è situato all'ingresso dell'abitato, sul Belvedere, con l'ingresso debitamente orientato. Di datazione incerta, sarebbe una evoluzione della prima cappella che ospitò il quadro al suo arrivo ad Altavilla. In seguito a interventi e rifacimenti, nel 1623,1826 e 1908, ha raggiunto l'attuale struttura e grandezza. Vi si accede tramite un portale di bronzo, realizzato dallo scultore Vincenzo Gennaro e inaugurato nel corso dell'Anno Santo 2000. All'esterno, l'opera, con una figurazione a spirale, riproduce il Mistero dell'Incarnazione di Cristo. In alto a sinistra spicca la cometa che transita su Betlemme. La metà superiore dell'anta destra è dominata dall'angelo annunziante che porge un giglio a Maria. Al centro dell'anta sinistra la Prescelta si inchina in segno d'accettazione. A destra si legge la figurazione del gruppo della Natività. In alto emerge l'Herodion, il palazzo-fortezza circolare con quattro torri diametralmente opposte, simbolo del potere di Erode su uomini e cose, da cui fu ordinata la strage degli innocenti. Da questo punto, l'elica della spirale compositiva volge in basso, per interrompersi sulla rappresentazione delle piramidi Giza, duplice simbolo dell'Esodo e della Fuga in Egitto. Al centro della facciata si trova un bassorilievo bronzeo raffigurante la Madonna col Bambino e San Francesco d'Assisi, opera dello Sgarlata. Le facce interne del portale si ispirano, invece, al Calvario, alla Deposizione dalla Croce ed alla Sepoltura di Cristo. Il Santuario è a croce latina. Sulla sinistra, entrando, un gigantesco Crocifisso del De Simone che colpisce per la minuzia dei particolari. A destra una statua lignea di San Francesco di Paola del Bagnasco. Dello stesso, più avanti, si trova la tela Risurrezione di Lazzaro e sulla sinistra il Battesimo di Gesù. Seguono le statue dell'Immacolata e di San Giuseppe, di buona fattura. Sotto la crociera si incurva la cupola affrescata nel 1996 da Totò Bonanno, raffigurante la Pentecoste e, più sotto, quattro tele con gli Evangelisti. A sinistra trovano sede le statue dell'Addolorata, del Cristo morto, in legno di Ortisei, il Cuore di Gesù, l'Assunta, entrambi della Ditta Zanetti di Roma, e Santa Rosalia. A sinistra, una statua di Santa Lucia. Nella volta della navata centrale, una riproduzione dell'Assunzione della Madonna del Tiziano ed una Natività. Nelle volte laterali spiccano la Presentazione di Gesù al Tempio e l'Annunciazione, opere di Galioto di Bagheria. Nella volta dell'abside si nota un affresco della traslazione della Casa di Nazareth a Loreto e, sullo sfondo la SS. Trinità. Alle pareti, due tele del Bagnasco raffigurano l'Ultima Cena e il Sacrificio di Isacco. Accanto all'altare si trova un originale e delicato candelabro in bronzo dorato, formato da finissime figure ieratiche, opera anch'esso di Vincenzo Gennaro. Il Santuario possiede, inoltre, una statuetta del Cristo risorto, sempre del Bagnasco, che viene esposta nel periodo pasquale. Di pregevole fattura è l'impianto marmoreo raffigurante due braccia accoglienti il tabernacolo, progettato dal salesiano don Vincenzo Gorgone. Sul lato sinistro dell'abside sorge il fonte battesimale, di marmo massiccio intarsiato, opera del prof. Di Caro. Al centro dell'abside, in alto, visitabile tramite un doppio scalone, fra due angeli oranti in marmo bianco, si trova il quadro della Madonna della Milicia, orgoglio del Santuario e meta di pellegrinaggi.

Tra leggenda e storia Secondo un'antica credenza, scrupolosamente trasmessa da padre in figlio: In un giorno imprecisato, prima del '600, i pochi abitatori di Altavilla videro veleggiare verso Palermo una nave che stentava a superare Capo Zafferano quindi girare la prua verso terra e chiamare gente. Accorsi sulla spiaggia alcuni Milicioti, fu loro offerta la Sacra Immagine. Seppero dai razziatori si trattava di nave corsara che la avevano tenuta come coperchio del barile d'acqua; credevano che a causa di Essa non avevano potuto avanzare verso Palermo ed invece di gettarla in mare, come prima avevano pensato, la cedevano, essi maomettani in mani cristiane. Felici del prezioso dono portarono in trionfo, su un carro trainato dai buoi, la Sacra Immagine sulla collinetta da essi abitata. Sull'orlo orientale, dove sostarono i buoi, fu edificata l'antica e semplice cappelletta della Madonna che successivamente ingrandita forma l'odierno Santuario Mariano. Come i corsari fossero entrati in possesso del quadro, resta un mistero. Si suppone che lo avessero razziato nella chiesa di Santa Maria in Campogrosso. Fin qui la tradizione orale. Nella notte fra il 14 e il 15 luglio del 1636 i corsari, barbareschi naturalmente, effettuarono uno sbarco, mentre a Palermo si celebrava il Festino della Santuzza che, pochi anni prima, aveva salvato la città dalla pestilenza. I festeggiamenti vennero interrotti e la milizia cittadina intervenne decisamente, costringendo gli incursori a riguadagnare le navi. Evidentemente l'allarme era stato trasmesso tramite le torri di avvistamento impiantate lungo la costa, ma come abbiano fatto i soldati a intervenire di volata, al buio e in una sola notte è un altro mistero. È certo che in quegli anni, nelle migliori condizioni di tempo e di mezzi di locomozione, per raggiungere Altavilla occorressero non meno di due giorni. Miracolo? Fatto sta che nel ritirarsi, i corsari ebbero il tempo e l'occasione per oltraggiare il quadro della Madonna, a colpi di accetta. Solo sul retro, però: da corretti ladroni. La nuvena a Madonna di l'Aritu (novena alla Madonna di Loreto) recitata in preparazione della festa della Milicia, attesterebbe che i pirati, dopo aver oltraggiato il quadro, lo abbiano buttato in mare e la sacra immagine finì spiaggiata alla foce del fiume Milicia. La notizia di questi fatti incresciosi si diffuse a Palermo, per cui, sia l'indignazione per l'indebito oltraggio, sia la gratitudine per lo scampato pericolo, diffusero tra i Palermitani una grande devozione per la Madonna della Milicia. E ancora oggi, in occasione della processione dell'8 settembre, vige l'usanza di far sostare il quadro nel belvedere, rivolto verso Palermo, prima del rientro al Santuario.

Il quadro Come Dio volle, fino al 1853 il dipinto rimase al suo posto, oggetto della venerazione dei fedeli. Però le traversie subite, l'inesorabile scorrere del tempo, il fumo dei ceri, lo avevano gravemente danneggiato. A parte i volti dei personaggi, anch'essi fortemente anneriti, il guadro era ormai un'unica macchia scura e il supporto ligneo dava segni di cedimento. Giocoforza fu necessario un intervento. Però si finì per stravolgere l'opera. Tutto questo perché il volto della Vergine presentava una straordinaria somiglianza con quella di Loreto. Sia per devozione, sia nell'errata convinzione che una modifica radicale avrebbe impreziosito la reliquia, venne occultato il dipinto originale: alla Vergine venne applicata una rizza (veste) ad imbuto, d'argento dorato e sbalzato a disegni ornamentali e le venne posta una corona regale in testa. Da Maestà in trono, divenne una Madonna stante. Il Bambino Gesù fu rivestito d'argento liscio. A San Francesco venne imposta un'aureola, il cordone e le mani d'argento. Le venne attribuito il titolo di Santa Maria Lauretana. Insomma il maquillage la riconvertì in qualcosa d'altro... e fini che si perse anche il ricordo dell'originale. Nel 1990 si rese necessario un nuovo intervento di restauro. Consolidata la parte lignea, si passò alla pittura. Tolta la rizza d'argento, si procedette ad un esame con i raggi X per stabilire l'autenticità dell'opera e con gli ultravioletti si verificò lo stato dei pigmenti e dell'imprimitura. A questo punto uscì fuori ciò che era stato occultato e si ritrovò un quarto personaggio, tra San Francesco e la Madonna. Magari sarà stato il committente. Il dipinto, oggi, è stato riportato al suo aspetto primitivo e ha ripreso il suo antico nome: Madonna della Milicia. Raffigura una Maestà, ossia la Madonna assisa in trono, nel pieno rispetto dei canoni medioevali, sia per quel che riguarda la postura che i colori. A differenza della iconografia greca, la Madonna non è vista di fronte, con il conseguente effetto di "appiattimento", ma di tre quarti. Per quel che riguarda i colori, il manto della Madonna è azzurro e la tunica rossa. Nella simbologia medioevale i colori non erano casuali, oppure scelti per motivi decorativi, poiché dovevano concordare esattamente con i colori dei rituali ecclesiastici. L'oro era riservato alla rappresentazione di Dio o delle caratteristiche divine ed era un forte simbolo solare. L'azzurro o blu scuro fino a virare al nero, era simbolo di redenzione, sostanza eterna e creatrice: la divinità che rigenera l'uomo dal grembo della Madre e gli trasmette una nuova visione. La vita precede la morte e dalla morte deriva la vita. L'azzurro simboleggia quindi l'umanità e nel nostro caso indica che la Madonna, sebbene dotata di particolari privilegi, resta pur sempre una donna. Il rosso della tunica, anch'esso colore solare, indica che Maria, nel ruolo di Madre del Cristo, unita indissolubilmente alla divinità da un Mistero splendido e incomprensibile, è "piena di grazia": apportatrice di luce e Grazia Lei stessa. Il rosso del bambino è in perfetta armonia con quello materno. Il Cristo tiene nella mano sinistra il rotolo del Libro Sacro e con la destra benedice. Anche l'abito del devoto è rosso, per significare, co-me dice San Paolo, che l'uomo, per salvarsi, deve "rivestirsi del Signore Gesù Cristo". La plasticità dei personaggi e la composizione dei colori fanno datare il dipinto alla fine del 1300 e attribuire alla scuola giottesca.

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